Category: Politica



Sono Carlo Mazzoleni, studente di Galbiate di 23 anni, laureato in Storia e ora frequentante il Corso di Comunicazione Pubblica e d’Impresa a Scienze Politiche, presso l’Università Statale di Milano.

Le ragioni della mia candidatura vanno ricercate non tanto nella mia volontà personale di “scendere” o “salire” in politica, quanto piuttosto dall’evidenza dello stato delle cose in Lombardia.
La nostra è una Regione produttiva e ricca di eccellenze, ma dall’inizio di questa crisi economica nel 2008 ha cominciato ad accumulare i pericolosi presupposti di un futuro declino.
La classe dirigente lombarda in particolare, formatasi in venti anni di dominio di Roberto Formigoni e che ora torna alla carica dietro alle solo apparentemente diverse insegne di Roberto Maroni, si è dimostrata totalmente inadatta al compito, disperdendo le ingenti risorse ricavate dalle tasche dei lombardi in corruzione, clientelismi, sprechi e addirittura compromissioni con la criminalità organizzata.
La necessità maggiore per la Regione è dunque quella di tornare ad ispirare fiducia, assicurando ai suoi cittadini il corretto e trasparente utilizzo dei loro soldi per garantire i servizi, la salute e assistere le eccellenze produttive e culturali, senza approntare corsie preferenziali per nessuno, qualsiasi sia la sua appartenenza politica o di altro tipo. Io credo che i cittadini, attraverso la generosa partecipazione (150mila persone) slle primarie civiche regionali, abbiano trovato l’uomo adatto per questo compito: Umberto Ambrosoli. Figlio di un utentico Eroe della Società Civile e da sempre difensore della legalità, riuscirà a restituire la Regione alla comunità lombarda, strappandola al ruolo di inavvicinabile palazzo del potere ove i soldi dei cittadini venivano spartiti da un’elite bramosa e settaria e riportandola sul territorio a collaborare con le varie realtà dell’economia, della cultura e del sociale, sempre nel rispetto dell’ambiente, della salute e del diritto al lavoro dei lombardi.

Entusiasta di poter sostenere una persona di indubbio valore come Umberto Ambrosoli, anche io sono deciso a sottopormi al giudizio dei cittadini, sperando di poter fare qualcosa nel mio piccolo per poter riportare la Lombardia ad eccellere veramente e non solo nella stanca retorica leghista. Questa sfida diventa possibile grazie all’Italia dei Valori, partito di cui condivido da tempo ed appieno i principi di legalità, trasparenza e impegno civico.
Altri temi mi stanno a cuore quanto questi:
_strappare i meccanismi degli incentivi alle imprese a logiche di parte, per cui l’opacità delle assegnazioni degli appalti permette illeciti favoritismi, e restituirli a criteri di autentica meritocrazia,
_ spingere la piccola e media impresa ad organizzarsi in Associazioni in grado di essere soggetto attivo nel confronto con l’amministrazione regionale e reggere le nuove sfide del mercato investendo in ricerca e sviluppo,
_ aiutare le realtà produttive lombarde ad applicare i principi della green economy, con la conseguente espansione dell’occupazione in un settore nuovo e strategico e la riduzione dell’inquinamento atmosferico, che ci è costato salate multe a livello europeo di cui il Celeste rideva alla faccia nostra,
_ ridurre la tassazione su imprese e famiglie attraverso un taglio delle aliquote IRPEF per i redditti più bassi ed una drastica riduzione, l’ideale sarebbe l’eliminazione, dell’IRAP, una tassa folle per cui una ditta più assume più deve pagare,
_ recuperare le risorse necessarie alla riduzione della tassazione con una severa razionalizzazione dell’amministrazioni regionale e delle sue controllate, la drastica riduzione dei contributi versati ai privati, senza alcuna logica apparente che non fosse quella di rafforzare il blocco di potere ciellino in ambito sanitario e della scuola, e recuperando l’evasione fiscale,
_ valorizzare le immense potenzialità regionali nel campo della cultura, dell’arte, della musica, delle tradizioni locali e dei nostri splendidi paesaggi con incentivi volti ad assicurare la conservazione e l’implemento, secondo logiche non solo puramente conservative ma anche di valorizzazione attiva e turistica.
_ la creazione di una Comissione Antimafia che possa perseguire con forza il contrasto al sinistro tentativo di colonizzazione ddella nostra Regione da parte delle organizzazioni criminali.

Questi sono solo i principali punti che mi offro di perseguire con tutte le mie forze nel caso mi concederete la forza di portarli all’attenzione del Consiglio Regionale.
Un Consiglio Regionale che deve, soprattutto dopo gli ultimi scandali, ritrovare la sua dignità e riallacciare quel legame spezzato con i cittadini, a cominciare dai candidati a farne parte.
Mi dichiaro duqnue deciso a dimezzare uno stipendio che rappresenta un insulto per ogni nornale lavoratore (10mila euro e passa) e a rinunciare a qualsiasi ulteriore privilegio che possano accumunarmi alla vituperata Casta, responsabile di vergognosi scandali anche qui nella nostra Regione Lombardia.
Penso inoltre che le spese di funzionamento dei gruppi consiliari, che hanno portato all’accusa di oltre 80 consiglieri ed ex consiglieri per peculato, vadano assolutamente eliminate.

La politica deve tornare ad essere un servizio fatto alla cittadinanza, non la sua rapina! Rendiamo la Lombardia un esempio per tutta l’Italia!


“Capita invece, e non di rado, che il semplice stare dalla parte della legalità e dei diritti dei cittadini si trasformi in una scelta dirompente, scomoda, pericolosa.

Capita invece, e non di rado, che chi si schiera dalla parte dello Stato paghi con la vita la propria coraggiosa normalità”

Queste parole sono di Umberto Ambrosoli, contenuta nel suo bellissimo libro “Qualunque cosa succeda”, dedicato al ricordo del padre Giorgio, detto l’eroe borghese, in verità un semplice cittadino, onesto avvocato e militante politico, dimostratosi capace di non piegare la schiena davanti alle lusinghe ed alle minacce di un potere illecito ed arrogante, al punto da arrivare a compiere il suo dovere verso l’Italia ed i suoi cittadini sino all’ultimo respiro. Dopo aver restituito il maltolto a chi era stato vittima delle speculazioni e delle truffe della Banca Privata Italiana, appartenente al criminale Michele Sindona, Giorgio Ambrosoli venne fatto assassinare da un sicario, senza che le istituzioni facessero nulla per proteggerlo. Anzi, la peggiore politica italiana si affrettò a dimenticarlo.

Con questa citazione non è assolutamente mia intenzione strumentalizzare la memoria tanto preziosa del padre di Umberto, ma piuttosto porre una necessaria ed inevitabile premessa al mio impegno ed alle mie riflessioni. La Politica (questa parola divenuta oggi sinonimo di corruzione, collusione, egoismo e abuso di potere) tutta quanta la politica, di qualsiasi colore, ideologia e schieramento, dovrebbe leggere con attenzione questa parole scritte da un figlio per ricordare l’onestà del padre, con la consapevolezza che quella “coraggiosa normalità“, costruita con la costanza e la determinazione nel fare semplicemente il proprio dovere, giorno per giorno ed al servizio della comunità, deve tornare ad essere la propria ragione d’esistenza.

Oggi si è smarrito completamente il senso di come dovrebbero esplicarsi i ruoli di rappresentanza politica e di amministrazione, così come erano stati concepiti agli albori della democrazia liberale. La volontà di essere al servizio alla cittadinanza con orgoglio, di gestire e indirizzare il destino di una comunità senza interessi di parte, di ricercare ìl consenso attorno a progetti volti alla tutela ed alla sicurezza della società e anche alla sua trasformazione in meglio, sembra essere per i politici un polveroso ricordo del passato. La politica è diventata ormai uno strumento privo di un significato intrinseco, un grimaldello utile a scardinare le istituzoni per raggiungere scopi estranei al Bene Comune: l’ottenimento lecito ed illecito di massicci intrioti economici e privilegi, lo sfruttamento del potere a fini personali e di fazione, la volontà di ergersi tronfi e arroganti al di sopra dei cittadini “normali” come Giorgio Ambrosoli, con il preteso diritto di schiacciarli senza pietà se risultano d’intralcio.

Non sono un’utopista, sia chiaro, so benissimo che la Politica, legata indissolubilmente alla necessità di gestire il potere e le risorse comuni, sarà sempre esposta al pericolo di intenzioni devianti, egosistiche o addirittura criminali; ma riengo utile per ciascuno di noi scolpire nella più dura pietra della memoria le parole di Umberto, per ricordarci almeno cosa la Politica ambisce ad essere. Se ci dimentichiamo questo e siamo capaci solo di raccontarci cosa la politica è oggi in Italia, senza poterla immaginare diversa da come i suoi peggiori interpreti l’hanno resa, non usciremo mai dall’irriducibile e sterile contrapporsi tra un’offerta politica vecchia, screditata e compromessa e l’antipolitica senza risposte, l’una persa nella conservazione delle posizioni acquisite, l’altra preda di una irrefrenabile furia distruttrice.

Nessuna di queste due alternative, a mio giudizio, contiene il valore sotteso alla breve citazione di Ambrosoli, esprimibile nella necessità di svolgere il proprio dovere con onestà e al servizio del Bene Comune dei cittadini.

Ecco dunque la necessaria premessa, la cosa più importante.

Riguardo al mio impegno: è con la giustificata aspettativa di poter essere coerente a questa ambiziosa concezione di Politica che mi metto a dsiposizione dei cittadini, nella volontà di darle degnamente applicazione concreta al fianco, lo affermo con immenso piacere, di UMBERTO AMBROSOLI.

Mostriamo all’Italia intera come la Nostra amata REGIONE LOMBARDIA sia capace di rinnovarsi; rendiamola esempio futuro di come una comunità unita ed orgogliosa possa risollevarsi dal fango dove l’ha gettata una casta odiosa e cominciare di nuovo a correre verso un avvenire radioso!

CARLO MAZZOLENI, studente universitario di Galbiate.

Candidato Consigliere alla Regione Lombardia in PROVINCIA DI LECCO per l’Italia dei Valori.

“La Tempesta Morale”


Il peso della Questione Morale sembra gravare sulla politica di oggi ancora più che nei tempi agitati di Mani Pulite, dissolvendo le tante promesse e lusinghe dei partiti nelle fiamme di uno sdegno popolare sempre più vivo verso un’ambiguità di condotta trasversale.

Il Governo e la maggioranza in particolare sono investite in pieno da scandali ricorrenti e mostrano crepe sempre più profonde, già aperte e rimarcate dalle sconfitte subite nelle amministrative e con i referendum.

Lo stesso premier Berlusconi ha appena subito una condanna , proprio il tipo di azione giudiziaria che ha tentato di evitare sin dal 1994 strumentalizzando l’attività dell’esecutivo a suon di leggi vergogna, per corresponsabilità in corruzione e la sua Mondadori, l’azienda era al centro di quella guerra di Segrate combattuta a colpi bassi dal Cavaliere contro De Benedetti, è stata costretta a rimborsare 560 milioni all’editore.

Non un furtarello da niente quello di 560 milioni di Euro, documentato e riconosciuto dalla magistratura e su cui il premier ha preferito non pronunciarsi, pur mandando avanti la figlia Marina ribollente di indignazione per l’ovviamente ingiusta sentenza.

Berlusconi condannato, per corresponsabilità in corruzione, e dunque, se si vorrebbe tener fede al suo teorema che lo vedrebbe vittima della persecuzione delle toghe rosse, ferito dall’onnipresente nemico comunista, accomunato, nella sua prospettiva mediatica ed ideologica, con qualsiasi cosa stoni con le sue dichiarazioni: da Fini a Vendola, dalla magistratura ai giornalisti, da Napolitano a Murdoch e così via.

Molti nemici, molto onore.

Il premier è pesto e ferito ma certo non sconfitto e il cortocircuito del suo ancor spropositato conflitto d’interessi resta intatto, nonostante ormai ogni suo avversario si accalchi a sottolinearlo, facendo dimenticare i recenti tempi della trasversale condanna del “giustizialismo” dipietrista.

Le grane del Cavaliere non sono tuttavia il problema maggiore in seno alla malconcia maggioranza.

Il ritmo degli scandali si fa ormai quotidiano e se il “responsabile” Romano conquista il poco ambito titolo di primo ministro nella storia della Repubblica imputato per mafia e deciso a non dimettersi, anche gli intrecci dei gangli di potere e di interessi illeciti scoperchiati dalle inchieste sul braccio operativo di Tremonti, Milanese, su quello di Letta, Bisignani e su Alfonso Papa delineano un quadro decisamente inquietante di condizionamenti e compromessi intollerabili.

L’opposizione potrebbe prontamente beneficiare di quello che va sempre più delineandosi come un collasso del fronte di Governo, sottolineando la propria diversità rispetto ad una maggioranza ormai votata al perseguimento “disperato” di interessi di gruppo o individuali, completamente dimentica di assicurare il regolare funzionamento istituzionale.

Proprio in questi giorni però il Partito Democratico sembra vacillare sotto a colpi giudiziari sin troppo simili alle pesantissime ambiguità morali rimproverate all’avversario.

Dalle nebbie del tempo riemergono vecchi fantasmi di cui per lungo tempo si era occultata l’esistenza, come i Gavio, potenti costruttori già compromessi in Mani Pulite con l’indebitamente mitizzato Compagno G, quel Primo Greganti la cui omertà permise al Pci di superare relativamente indenne la resa dei conti con la giustizia per il suo coinvolgimento nel sistema delle tangenti.

Appare ormai evidente la veridicità delle proposizioni avanzate in quell’inchiesta di Mani Pulite dipinta per anni e in modo colpevolmente bi-partisan come il Terrore Rivoluzionario nostrano, l’offensiva dei pretori d’assalto decisi a portare i politici sul patibolo della ghigliottina mediatica.

Si trattava in realtà della scoperta di un sottobosco di potere atto ad alimentare una partitocrazia golosa e pervasiva, insediatasi ad ogni livello di potere di una Repubblica in cui i cittadini erano ormai esautorati della loro sovranità.

Si è subito data la colpa della malattia al dottore, ai magistrati, diventati improvvisamente “untori” da linciare con ogni mezzo, comunicativo e legislativo.

Oggi molte cose sono cambiate, il flusso delle tangenti si è ridotto e il ceto politico alimenta i suoi privilegi attraverso vie lecite come gli esosi rimborsi elettorali, gli innumerevoli privilegi, le consulenze e gli enti inutili.

L’intenzione predatoria della casta non si è però esaurita e continua a crescere portando a sconsiderati atti di razzia e saccheggio, mirati al puro guadagno a danno di istituzioni e cittadini.

Le forze politiche dovrebbero riconoscere quest’anomalia, fatta di privilegi e interessi spietatamente perseguiti, a lungo lasciata crescere e camuffata con la scusa di una inesistente guerra tra magistratura e politica.

Un tentativo di cambiamento è necessario, prima che a chiarire le carte in tavola sia un evento traumatico per l’intero Paese.

E se tra le macerie di un modo politico demolito da Mani Pulite perché incapace di correggersi in linea con un corretto funzionamento delle istituzioni al servizio del cittadino, ossia secondo il dettato della Costituzione, è affiorata una politica personalista, illecita e distruttiva come quella di Silvio Berlusconi, sul futuro si proiettano presagi davvero oscuri.

Una Questione Morale fattasi Tempesta potrebbe travolgere tutto e tutti, precipitando l’Italia nel baratro di una catastrofe economica e sociale.

 

 


PREMESSA: LA SVOLTA

In queste settimane un vero e proprio sisma, scatenato dalle elezioni amministrative e dai referendum, sembra aver investito il mondo politico italiano. I partiti si ritrovano spaesati, storditi dagli imprevisti scossoni e incapaci di comprendere al meglio verso dove la turbolenza li abbia scagliati.

Notizia tra le più evidenti nell’ambito di questo confuso rimescolamento è di sicuro la cosiddetta “svolta” dell’Italia dei Valori, il partito da sempre impegnato come intransigente forza d’opposizione all’azione del monolito di governo berlusconiano e leghista.

Un’opposizione mostratasi severa e censoria anche nei tempi in cui lo schieramento di maggioranza sembrava inattaccabile, saldo a più del 50% dei consensi popolari e non ancora cosparso da crepe oggi vistosissime, con Bossi Berlusconi e Fini allora ben stretti in un’alleanza tanto serrata e compromettente da aver rischiato di soffocarli, a giudicare dalle malconce condizioni di un oramai residuale Futuro e Libertà per l’Italia, di un Popolo della Libertà ridotto a una succursale di Forza Italia e di una Lega il cui dilagante successo sembra essersi arrestato.

A scatenare la polemica su un presunto riposizionamento a destra dell’Italia dei Valori sono alcune affermazioni del presidente Antonio Di Pietro, disseminate di rivendicazioni dell’identità liberaldemocratica del partito, derivata dall’appartenenza alla famiglia politica liberale e democratica europea, l’ELDR, e di attacchi contro gli alleati Bersani, accusato di inerzia e voluto immobilismo, e Vendola, reo di un insopportabile protagonismo.

Questa vistosa virata sarebbe, secondo molti commentatori politici, un movimento puramente strumentale, volta d attirare nell’alveo del centro-sinistra almeno alcuni di quei dieci milioni di cittadini, che, pur animati da un’identità politica riconducibile al centro-destra, nell’ultima consultazione referendaria hanno bocciato radicalmente le principali intenzioni dell’alleanza di governo: privatizzazione dell’acqua, costruzione di impianti nucleari e tutela del ceto dirigente dall’azione della magistratura.

A queste riflessioni si sono poi affiancati giudizi ben più drastici, provenienti soprattutto da quelle aree di sinistra colpite dalle accuse di inerzia e improduttività dell’ex pm; tra questi, solo per fare due esempi, quelli di Alberico Giostra, acido opinionista impegnato in una crociata per estirpare l’Italia dei Valori dall’ambito della Sinistra italiana, e di Debora Serracchiani, collocabile nell’ala riformista del Partito Democratico: il Gabbiano arcobaleno sarebbe destinato a spiccare il volo dai lidi del progressismo per appollaiarsi nel suo nido originario, il centro-destra.

 

UN’IDENTITA’ FUORI DAGLI SCHEMI

Alcuni amici con cui mi è capitato di parlare di politica, ed in particolare della “svolta”, mi hanno spesso fatto notare l’inutilità di sviluppare una polemica basata su concetti ormai arrugginiti e troppo sfruttati come le ideologie: le identità politiche di destra e sinistra, relitti di un Novecento ormai tramontato nella realtà storica come nella società contemporanea.

Destra e Sinistra sarebbero oggi introiettate in coloro che ancora le rivendicano non come un insieme coerente di valori e obbiettivi, ma piuttosto un modo, un atteggiamento di vita per distinguersi nella massa degli individui.

 

Mi permetto, però, di sviluppare in queste righe, per chi avrà la pazienza di leggerle, un ragionamento sulla collocazione dell’Italia dei Valori rivendicata in questi giorni e dotata, a mio parere, di una coerenza anche ideologica.

Da molti, amici ed avversari, è stata a lungo sottolineata la natura personalistica del Gabbiano, in grado di orientarsi e agire solo su indirizzo e comando del suo presidente Di Pietro.

L’ex pm, proprio in questi giorni, si è proclamato, in verità non per la prima volta, orgogliosamente moderato e cattolico, estraneo all’alveo culturale della Sinistra Italiana.

Per essere onesto, anche io condivido questa estraneità.

La svolta tanto pubblicizzata, soprattutto da quei mezzi d’informazione allineati sulle posizioni di un Partito Democratico recentemente colpito dalle bordate polemiche di Di Pietro, starebbe tutta in queste frasi del presidente, spesso contenenti affermazioni fatte a titolo personale.

E’certo innegabile un ammorbidimento delle dichiarazioni, di cui sarebbe d’altronde superfluo mantenere l’”alto voltaggio” davanti ad un Berlusconi ormai pesto ed in difficoltà, attaccato da tutto un arco politico riscopertosi, dopo due anni di legislatura, comunemente giustizialista.

Tuttavia la fretta di dichiarare la svolta a destra, prima ancora di qualsiasi eventuale  realizzazione nei fatti, ha dimostrato l’incapacità di tanti, gli stessi giustamente impegnati ad invocare una maggiore “dedipietrizzazione” dell’Italia dei Valori, di “dedipietrizzare” le loro riflessioni politiche.

Il microcosmo Italia dei Valori e la personale visione politica di Antonio Di Pietro non sono due mondi perfettamente coincidenti; una vivace dialettica interna è più volte affiorata nelle obiezioni avanzate da personalità come Massimo Donadi, Luigi De Magistris, Sonia Alfano, Francesco Barbato e molti altri.

Certo la propensione decisionista dell’ex pm è innegabile e viene spesso aggravata dal conservarsi di rapporti personali e di fiducia stretti all’origine del movimento e spesso causa di sinistri cortocircuiti strutturali, ma quella di auspicare una perfetta sovrapposizione tra le persona e il partito è una precisa strategia dei media italiani.

I mezzi d’informazione mostrano infatti l’incapacità di collocare una forza politica volutamente post-ideologica e risolve la spinosa questione focalizzando la sua attenzione sul pittoresco e carismatico Di Pietro, minimo comun denominatore dell’azione politica dell’Italia dei Valori rimasta, per ora, immutata anche dopo un riposizionamento dipinto con tanta drammaticità.

L’intero ambito della vita pubblica italiana si trova così intrappolato in un in sorpassabile dualismo manicheo in cui ad una Sinistra, nella sua incarnazione antagonista e irriducibile o burocratica e conservatrice di strutture, capace di forzarsi al dialogo con i moderati, si oppone una Destra a suo dire riconducibile alla tradizione cattolica, liberale e corporativa italiana ma, e per capirlo basta leggersi due righe di cronaca, ormai degenerata in un coagulo decomposto di interessi più o meno leciti e perseguiti senza guardare in faccia a coerenze o identità di sorta.

In un panorama così anomalo rispetto all’Europa, dove invece si consolida soprattutto l’ordinata alternanza tra conservatori e socialdemocratici, Italia dei Valori nasce come un movimento “giustizialista” e “giacobino”, radunato attorno alla carismatica figura del pretore d’assalto di Mani Pulite e animato da un viscerale bisogno di giustizia, civica e sociale, in un Paese dove la prepotenza e l’impunità della criminalità, della classe dirigente e del gotha economico sembrano fare da padrone.

Un’Italia dove, per dirla alla dipietrese, la “legge della giungla”, l’insopportabile oppressione del più furbo e forte sul più debole o onesto, sembra prevalere sul “rispetto delle regole del gioco”, sul rispetto delle misure volte ad assicurare la civile convivenza e la realizzazione di ciascun individuo.

Col tempo il movimento si consolida in partito, pur con vistose anomalie, dandosi un’articolazione programmatica più ambiziosa e sviluppata, giunta oggi, con la presunta “svolta”, al suo compimento: al riconoscimento in un’identità fuori dagli schemi consolidati di una contrapposizione irrisolvibile destra contro sinistra in cui gli unici vinti restano i cittadini.

 

IL GABBIANO ARCOBALENO,

BANDIERA LIBERALDEMOCRATICA IN ITALIA E NON SOLO

Italia dei Valori è una formazione liberaldemocratica , di destra quindi.

Qui sta il primo errore.

Primo. La democrazia liberale, non considerando i suoi successivi sviluppi politici e partitici ma concentrandoci sull’ideologia “pura”, non è né di destra né di sinistra, ma è l’insieme di valori e prospettive alla base delle moderne democrazie rappresentative.

Esprime concetti oggi, almeno a parole, universalmente condivisi nel mondo politico: divisione dei poteri (esecutivo, giudiziario, legislativo), libertà d’informazione, riunione ed espressione, valore dell’individuo e suo diritto alla realizzazione personale, eguaglianza di cittadini con diritti e doveri, riduzione degli ambiti d’intervento e di spesa di uno Stato altrimenti ingombrante e dissipatore di risorse e così via.

Si tratta però di un’ideologia poco conosciuta in Italia e spesso maldestramente ricondotta all’eterna opposizione destra-sinistra, finendo per confondere liberalismo con liberismo: una concezione economica ai limiti dell’anarchia e della “legge della giungla” fatta propria da personaggi dal profilo davvero poco liberale come la conservatrice inglese Margaret Thatcher e i repubblicani statunitensi Ronald Reagan e George W. Bush.

Un contrasto storico, quello destra-sinistra, animato in Italia da forze, almeno nelle loro manifestazione clerical reazionarie e comuniste, che hanno inizialmente vissuto la democrazia rappresentativa come un compromesso per evitare il peggio ad una nazione già prostrata dal fallimento fascista e dalla Seconda Guerra Mondiale, non come la naturale sede della vita politica.

Come si sarebbe comportata la nomenclatura del Partito Comunista se nel 1945 avesse goduto di un più saldo appoggio sovietico, Togliatti, fedelissimo gregario di Stalin, avrebbe fatto il suo discorso conciliante in quel di Napoli?

Come si sarebbe mossi i clericali, i reazionari, i fascisti nostalgici, mimetizzatisi anche nella Democrazia Cristiana, davanti ad una vittoria dei comunisti e socialisti ed al conseguente e progettato colpo di Stato, manovrato dagli statunitensi, nel 1948?

La Repubblica italiana e la sua Costituzione sono state sempre vissute come compromessi, simboli di una tregua tra partiti impegnati in una guerra silenziosa, combattuta nelle coscienze dei cittadini e con cui la fedeltà allo Stato c’entrava poco.

Tangentopoli ha poi mostrato con chiarezza la scarsa stima delle istituzioni da parte della partitocrazia animata dalle ideologie Novecentesche: le risorse dei cittadini erano solo carburante da convogliare nelle mai spente caldaie della macchina del consenso.

 

Questo panorama politico, cristallizzato poi da Berlusconi in una falsa e strumentale opposizione comunisti contro anticomunisti, potrebbe essere rotta proprio da un ritorno agli autentici principi della democrazia liberale, se davvero questa vuole essere l’intenzione dell’Italia dei Valori.

Un ritorno al rispetto ed alla realizzazione delle istituzioni e dei principi della democrazia rappresentativa e liberale, di cui la Costituzione rappresenta un meraviglioso, se così si può dire senza sminuirne l’immenso prestigio, “libretto d’istruzioni”, potrebbe essere una traumatica azione di rottura.

Secondo. Ridurre lo Statuto dell’Italia dei Valori alla sola appartenenza di sinistra o anche liberaldemocratica nel senso degli atteggiamenti politici caratteristici dell’azione dei vecchi Partito Liberale e Partito Repubblicano, sarebbe molto riduttivo.

Lo Statuto attribuisce al partito una natura post-ideologica, in cui si ritrovano, uniti in un’azione politica comune, i migliori valori e proponimenti dell’area socialista, cattolica, liberale e ambientalista; le stesse anime conviventi, senza voler parificare il documento di una formazione politica con la Carta Fondamentale della civile convivenza in Italia, nella Costituzione della Repubblica.

Italia dei Valori vuole, nelle intenzioni, essere non un partito ideologico o un cartello elettorale della Seconda Repubblica, ma il Partito della Repubblica e della Costituzione in cui possano convivere persone con anime e identità politiche diverse o cittadini provenienti dalla società civile, uniti in un progetto volto ad assicurare il funzionamento e la compiuta realizzazione del meccanismo costituzionale delle istituzioni italiane e la possibilità per i cittadini di servirsene.

Il Gabbiano arcobaleno vuole, nelle intenzioni, essere la reazione metabolica, difensiva e curativa insieme, dell’organismo repubblicano, democratico e liberale all’aggressione delle indebite contaminazioni tra pessimi ambienti economici, sociali e politici: le cricche, i comitati d’affari e crimine organizzato, incarnatisi nelle orde berlusconiane, desiderose di ripristinare la medievale “legge del più forte”, cane mangia cane.

 

ITALIA DEI VALORI,

SUL FRONTE PROGRESSISTA, NON DENTRO LA SINISTRA

Un’azione politica, quella dell’Italia dei Valori, non “colorata” da inclinazioni pregiudiziali o culture politiche “pesanti”, ma capace di mantenersi intransigente e equilibrata verso la destra come verso la sinistra.

Non si può criticare il finanziamento pubblico dio testate giornalistiche come “Libero” o “il Giornale” ma tacere riguardo “Liberazione” o “l’Unità”.

Non si può condannare i clientelismi di destra ma chiudere un occhio sulla commistione tra strutture partitiche e burocrazia statale a sinistra.

Non si possono additare all’opinione pubblica le convivenze e connivenze tra berlusconiani e criminalità organizzata e fare silenzio sugli analoghi scandali in casa propria.

E così via, basta con la generalizzata logica dei “compagni che sbagliano”.

Un’intenzione ideale e programmatica ambiziosa e non riconducibile alla sinistra “storica” ma naturalmente collocata in uno schieramento progressista e riformista, l’unico funzionale in un Paese dove il centro-destra sembra essersi perso ad inseguire esasperatamente gli interessi di singoli, cricche, caste e lobby, compensando la vuotezza di contenuti con toni populistici o xenofobi montanti in Europa dinnanzi alle difficoltà economiche d’integrazione.

Il mantenimento di un adeguato welfare sociale e la salvaguardia dei diritti dei lavoratori, architrave del progressismo di sinistra, sono d’altronde punti cardinali di un qualunque programma liberale deciso ad assicurare l’eguaglianza e l’ autonoma autorealizzazione dei cittadini, a partire dalle stesse posizioni di partenza in una società libera nella sua espressione e nel suo sviluppo.

Diverso è il caso di un atteggiamento conservativo deciso a mantenere ad oltranza, e spesso per ragioni di clientelismo politico, privilegi di sacche professionali e burocratiche incapaci di comprendere una realtà in cui determinati privilegi, sopportabili in passato, rischiano di compromettere il funzionamento di interi settori produttivi e dei servizi.

La caratteristica fondante di questa Italia dei Valori 2 vuole essere non una svolta o una correzione di rotta ma l’emergere di un’identità cresciuta e arrivata alla consapevolezza di sé con gradualità e fondata sulla legalità Costituzionale.

Un’identità difficilmente collocabile in una rappresentazione della politica monopolizzata dalla distinzione destra-sinistra proprio perché vorrebbe passare dalla prima parte del celebre motto dell’illuminista Voltaire (in verità della sua biografa Evelyn Beatrice Hall) “Disapprovo quello che dite”, condivisa da qualsiasi colore politica, alla sua integrale formulazione:

“Disapprovo quello che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo”,

salvaguardando il rispetto e ampliando la libertà delle regole della civile convivenza.

Certo, queste sono solo intenzioni di un’identità affiorata, tocca a noi Giovani dell’Italia dei Valori, generazione nativa di questo partito, farle nostre e realizzarle!